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VITA DI PI
(LIFE OF PI)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 3 gennaio 2013
 
di Ang Lee, con Suraj Sharma, Irrfan Khan, Ayush Tandon, Rafe Spall, Gérard Depardieu (Stati Uniti-Taiwan-India, 2012)
 
Regista vagabondo, a cavallo fra due culture, la taiwanese natia e l'hollywoodiana del paese d'accoglienza, pluridecorato, eclettico fra wuxia, erotismo omo e etero, fumetto e letteratura british, e pure incoerente. Ang Lee, capace dell'affascinante fiaba digitalizzata (il kung-fu dei cavalieri volanti di LA TIGRE E IL DRAGONE) piuttosto che dello psicologismo magico del suo film più sottovalutato (HULK); del raffinato erotismo di LUSSURIA, SEDUZIONE E TRADIMENTO, come pure di un decorativismo accademico, quello si sopravvalutato, (TEMPESTA DI GHIACCIO, RAGIONE E SENTIMENTO, i cowboy gay di BROKEBACK MOUNTAIN). Qui, con questo VITA DI PI tratto da un bestseller filosofico del canadese Yann Martel dal 2001 considerato impossibile da tradurre in immagini cinematografiche, meraviglia e incanta. Il che non capita ogni giorno nella formattazione attuale dell'offerta audiovisiva.

Intendiamoci, occorre pazientare una ventina di minuti. Il tempo di digerire un'introduzione verbosa e accademica, resa ancora più micidiale dal doppiaggio italiano, che ci fa temere l'ennesima riedizione dell'India impagliata rivista all'occidentale. Il tutto per spiegarci come Pi, figliolo di un proprietario dello zoo di Pondichéri costretto da un fallimento a trasferirsi dall'India al Canada, finirà per ritrovarsi su una zattera, in pieno Oceano, solo per 227 giorni in compagnia di una tigre del Bengala. Romanzo d'avventura, alla Conrad, alla Kipling? Riflessione mistico-religiosa, considerati gli interessi da sempre del giovane per l'induismo, all'islam e al cristianesimo? Favola iniziatica, in eterno contrappunto fra la realtà terrificante della natura e la scatenata fantasia trascendentale, permessa dalla perfezione digitale più sbalorditiva vista dagli esordi di Avatar?

VITA DI PI è un po' di tutto questo: il suo respiro poetico, l'energia alla riflessione dei suoi momenti migliori deriva proprio dal fatto di ritrovarsi (e non solo grazie alla tecnologia) come sospeso: in miracoloso, creativo contrappunto fra tutte queste sue dimensioni. Che il razionale ragazzino Pi (come p greco…) e la fantastica tigre chiamata Richard Parker sopravvivano alla loro inimmaginabile convivenza viene rivelato dal narratore fin dall'inizio. Ma non è l'esito di quella scommessa a prima vista impossibile ad attirarci progressivamente nel film, o meno ancora il piacere ritrovato di una favolistica infantile. E' l'incanto che nasce da un'altra impossibilità: accostare la fisicità di una tigre che nuota nel mare, di un'invasione di pesci-volanti, di una tempesta che sopraggiunge dall'orizzonte a un mistero che si fa metafisico, permesso dal portento computerizzato: l'emergere dagli abissi di un universo fluorescente fatto di delfini e balene, sempre più astratto e coreografico. Mai gratuito e forzato, esaltato dai tagli impeccabili della regia di Lee, dai risultati a dir poco sorprendenti della collaborazione con Claudio Miranda, non a caso direttore della fotografia di un film egualmente singolare come IL CURIOSO CASO DI BENJAMIN BUTTON di David Fincher. Sono due momenti opposti ai quali lo spettatore viene specularmente confrontato, il reale e l'immaginario: quello vero, dettato dall'armonia cosmica, e quello artificiale, inventato dalla tecnologia. E lo inducono non tanto ad interrogarsi, piuttosto a un abbandono straniante, che sempre più viene a coincidere con la sconsiderata, ma infine confortante fiducia venuta a crearsi fra i due protagonisti.

L'uomo e la bestia? Con un ultimo colpo di coda il film pare rifiutarsi a un semplice confronto fra razionale e irrazionale, cultura e istinto, comprensione e ferocia. Nelle sequenze finali, il giovane viene indotto a raccontare una versione della propria avventura del tutto diversa agli assicuratori del cargo naufragato. Non più l'edificante umanesimo dell'incontro quasi soprannaturale con l'animale selvaggio: ma l'accenno terribile a una lotta per la sopravvivenza, sfociata progressivamente nell'antropofagia bestiale. Se tutta quella fantasia ci ha indotti a rifugiarsi nel Bello, sembra allora rimettere in questione Ang Lee, non sarà che la realtà con la quale conviviamo altro non rappresenti che quella del Male?


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